Gino Doné Paro (San Biagio di Callalta, 18 maggio 1924 – San Donà di
Piave, 22 marzo 2008) è stato un partigiano e rivoluzionario italiano,
unico europeo ad aver partecipato alla Rivoluzione cubana.
All'anagrafe italiana il nome è "Gino Giacomo Doné", successivamente,
sul passaporto italiano compare solamente "Gino Doné" mentre
all'anagrafe cubana, dopo il primo matrimonio, verrà registrato come
"Gino Doné Paro", prendendo anche il cognome materno, come d'uso nei
paesi paesi di lingua spagnola.
Gino Doné Paro nacque in Veneto da
una famiglia di poveri braccianti il 18 maggio 1924, nel paesino di
Rovarè di San Biagio di Callalta, frazione confinante col territorio
comunale di Monastier, in provincia di Treviso.
Dopo le scuole
divenne militare, e l'8 settembre 1943, all'annuncio dell'armistizio, si
trovava a Pola. Tornato a casa diventò partigiano con la Missione
Alleata Nelson operante nell'area della laguna veneziana e alla fine del
conflitto ricevette un encomio dal generale Harold Alexander. Nel
dopoguerra emigrò a Cuba, partendo da Amburgo e passando dal Canada.
L'EMIGRAZIONE A CUBA.
Nel 1951 trovò lavoro all'Avana come carpentiere per la costruzione
della nuova grande Plaza Civica (l'attuale Plaza de la Revolución). In
città trascorreva il tempo libero sulle gradinate dell'Università, per
affinare la lingua parlando con gli studenti. Fu qui che iniziò a
sentire parlare di Fidel Castro e della sua iniziale attività politica
universitaria. Nella capitale cubana conobbe anche Ernest Hemingway ed
ebbe modo di parlare con lui del proprio territorio di origine perché lo
scrittore statunitense aveva dimorato qualche tempo in Veneto durante
la stesura del romanzo di là dal fiume e tra gli alberi.
Nel
1952, seguendo la ditta per cui lavorava, Gino si trasferì nella città
di Trinidad de Cuba, dove conobbe Norma Turino Guerra, che diventerà poi
la sua prima moglie. Norma era amica di Aleida March de la Torre,
futura moglie di Ernesto Che Guevara de la Serna. Norma e la sua
famiglia simpatizzavano per il Partito Ortodosso Cubano, nel quale era
dirigente il neolaureato avvocato Fidel Alejandro Castro Ruz. In quel
periodo Fidel era in Messico e stava cercando giovani fidatissimi per
arruolarli nel suo nuovo Movimento 26 luglio. Venuto a conoscenza che a
Trinidad c'era un giovane italiano che aveva fatto il partigiano in
Italia, Fidel lo volle incontrare per proporgli di fare parte della
spedizione che egli stava preparando, al fine di liberare Cuba dal
dittatore Batista. Tra il 1955 e il 1956, furono numerosi i viaggi di
Doné tra Cuba e il Messico, portando soldi e missive, grazie soprattutto
al suo passaporto italiano che non generava sospetti alle frontiere. In
quanto ex soldato ed ex partigiano, collaborò agli addestramenti
militari messicani diretti da Fidel. In quel periodo divenne amico del
medico argentino Ernesto Guevara, (da tutti detto "Che", ma da lui
sempre chiamato "Ernesto") il quale, racconterà poi Doné, gli confidò
che se non avesse incontrato Fidel sarebbe emigrato in Italia per
specializzarsi nella cura dell'asma (di cui soffriva) nella prestigiosa
facoltà di medicina dell’Università di Bologna. Il 25 novembre 1956 Doné
fu tra gli 82 volontari imbarcati sul Granma, che salparono dal porto
messicano di Tuxpan per sbarcare nell'Oriente Cubano, a Playas de las
Coloradas, praticamente ai piedi del Monte Turquino alto quasi 2000
metri, nell'attuale provincia del Granma. Insieme all'italiano "Gino"
c'erano 78 cubani, più l'argentino "Che", più il messicano "Alfonso" e
più il dominicano "Ramon". A bordo egli era il più anziano e aveva il
grado di Tenente del Terzo Plotone, comandato da Raúl Castro (fratello
di Fidel), attuale Presidente di Cuba.
LA RIVOLUZIONE CUBANA,
Subito dopo lo sbarco del 2 dicembre 1956 ai piedi della Sierra
Maestra, Donè venne mandato a cercare Che Guevara in preda a un attacco
di asma; sapendo come intervenire in quanto sua moglie Norma era
asmatica, gli praticò un massaggio e gli salvò la vita[1]. Il 5 dicembre
1956, dopo il primo combattimento ad Alegria de Pio, (e dopo il
massacro della metà dei compagni e la dispersione dei sopravvissuti),
Donè tornò a Trinidad dalla moglie, clandestinamente; poi raggiunse la
vicina città di Santa Clara de Cuba ove con Aleida March de la Torre
programmò un attentato nella sede del comandante batistiano della città.
Mentre i due stavano per lanciare due bombe nella residenza gremita di
persone e di bambini per le festività natalizie, Doné decise di
annullare l'attentato dicendo alla compagna: "la rivoluzione si fa
contro l'esercito non contro il popolo" (tale episodio è ricordato in un
importante libro di memorie della March). Ricercato dalla polizia
batistiana, i locali capi del "Movimento 26 Luglio" gli dettero l'ordine
scappare salpando da Trinidad, con meta prima Messico e poi Stati
Uniti.
Nel 1958, dopo il trionfo della rivoluzione castrista Doné
tentò di ritornare a Cuba, ma ebbe problemi con il console cubano di
New York al fine di ottenere il permesso di rientro che aveva smarrito.
Non riuscendo a rientrare a Cuba, col consenso di Norma, divorziò e si
risposò con una amica di Norma: la militante antimperialista portoricana
Antonietta De La Cruz, avente cittadinanza statunitense, abitante in
Florida, e più vecchia di lui di quasi 20 anni. Nel 1962, nel periodo
della cosiddetta crisi dei missili di Cuba, inviò a Cuba una lettera in
cui manifestava la volontà di tornare a combattere ma non ricevette
risposta[2]. Il segretario di Fidel, il granmista Jesus Sergio Montanè
Oropesa, che era uno dei pochi ad essere segretamente in contatto con
lui, lo invitò ufficialmente all'Avana, da metà novembre a metà dicembre
1995, in occasione delle celebrazioni per il 39º anniversario dello
sbarco del Granma, e qui Doné fu ospitato per un mese in una residenza
del Consiglio di Stato cubano. L'anno successivo (alle grandi
celebrazioni per l'importante 40º anniversario) fu nuovamente invitato,
ma fu costretto a non accettare perché doveva accudire la moglie
gravemente ammalata a Miami.
IL RITORNO IN ITALIA.
Nel
2003, dopo avere abitato e lavorato in Florida, doppiamente vedovo e
senza figli, decise di ritornare in Italia, in provincia di Venezia,
dove vivevano molti suoi parenti. Si iscrisse alla Sezione Anpi di San
Donà di Piave e al Circolo Italia-Cuba di Venezia. Qui ritrovò vari
compagni antifascisti conosciuti durante la Resistenza nella Laguna
Veneziana. Nel frattempo erano stati ricostruiti i dettagli sulla sua
movimentata vita, grazie alla ventennale ricerca giornalistica
effettuata dal bolognese Gianfranco Ginestri per conto della Fondazione
Italiana Ernesto Che Guevara presieduta dall'editore romano Roberto
Massari e anche grazie alle ricerche del cubano Arsenio Garcia Davila,
storico-granmista. Queste informazioni sono state poi inserite nei
faldoni dell'Archivio Storico delle Forze Armate Rivoluzionarie (FAR)
che conserva 82 dossier sugli 82 granmisti. Il Primo maggio 2004 Gino
partecipò con l'amico Arsenio Garcia Davila alla grande sfilata popolare
dell'Avana, durante la quale furono entrambi solennemente decorati. Al
suo ritorno fu festeggiato in tutta Italia dall'Anpi, dalla Fondazione
Che Guevara e da numerosi circoli dell'Associazione Nazionale di
Amicizia Italia-Cuba. Nel 2005 ritornò alcune volte a Cuba, accompagnato
dai co-produttori torinesi del documentario Cuba Libre a lui dedicato,
che volevano ripercorrere i luoghi della sua esperienza cubana. In tale
filmato (nella parte girata a Bayamo il 26 luglio 2005 durante la
commemorazione degli attacchi castristi alle caserme batistiane di
Santiago de Cuba e di Bayamo) si vedono Gino e Fidel, entrambi commossi,
che si abbracciano e si baciano. Per Donè fu il penultimo dei suoi
viaggi a Cuba (ritornò a dicembre dell'anno successivo per la
commemorazione del 50º anniversario del desembarco del Granma) e per
Fidel fu una delle ultime apparizioni in pubblico prima del suo malore
che lo fece dimettere dagli incarichi statali. Nel 2006 e 2007 diversi
giornali italiani si occuparono della storia di Gino pubblicando
numerosi articoli a lui dedicati[3]. Gino morì improvvisamente in una
clinica di San Donà di Piave la sera del 22 marzo 2008, alla vigilia di
Pasqua. Al suo funerale (avvenuto a Spinea il 27 marzo, dove fu cremato)
parteciparono centinaia di amici e compagni, provenienti da tutta
Italia, unitamente ad alcuni funzionari dell'Ambasciata Cubana di Roma
che avevano fatto pervenire quattro grandi corone di rose rosse da parte
Fidel Castro, di Raul Castro, della Ambasciata Cubana, e dei "granmisti
superstiti".
Alcuni ricercatori storici hanno ipotizzato la
possibilità che, mentre era lontano da Cuba, Doné fosse stato ingaggiato
per svolgere, in giro per il mondo, compiti da agente dei servizi
segreti cubani, allora diretti dal comandante Barbarossa amico di Doné
(ma attualmente non esistono conferme ufficiali da parte del governo
cubano).
In un'intervista al quotidiano Liberazione del 5 ottobre 2006, Doné ha dichiarato che:
« Dal giorno del Desembarco in poi, noi superstiti abbiamo fatto quello
che abbiamo potuto, chi in una forma e chi in un'altra. Io che ero
straniero ero il più indicato per starmene lontano da Cuba per fare ciò
che nella Sierra Maestra non avrei potuto realizzare. C'era bisogno di
addestramenti, collegamenti, informazioni, notizie, soldi, armi, e di
molte altre cose ancora. Così, chi con armi e chi senza armi ha fatto
quello che doveva fare. E anch'io »
Il 10 maggio 2010 il magazine
Turisti per Caso ha pubblicato una intervista, fatta da un'italiana con
il nickname Vanity176, ad Arsenio Garcia Davila il quale, parlando di
Doné, ha dichiarato:
« Egli si adoperò insieme ad un gruppo di
persone che lavoravano all'estero a favore della repubblica socialista
cubana; Gino ha svolto questo compito per quasi 40 anni; e visse negli
Usa servendo sempre la causa rivoluzionaria cubana »
EMILIO TATASCIORE