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domenica 21 giugno 2015

Amori e disastri

Viaggio tra gli italiani a Cuba che si sono trasferiti a Cuba perché speravano di fare business, o perché la pensione era troppo bassa, o perché sognavano la passione dei 20 anni. Gli italiani dell'Avana
Alla Panaderia Francesa i croissant fanno abbastanza schifo, ma come dice Luigi «se chiudi gli occhi e annusi, un po’ ci puoi credere di essere a Parigi». Funziona, ma solo se contemporaneamente ti tappi anche le orecchie. Perché se no sembra di stare in un bar di Brescia: nel locale cubano che sogna di essere francese si sente parlare soltanto italiano. Olé. Capelli bianchi, occhiali a specchio, bermuda e scarpa stringata, i pensionati italiani che vivono all’Avana vecchia si ritrovano sempre qui la mattina a bere l’espresso, riempire i posaceneri di cicche, parlare di calcio e di politica («se fossi Renzi», «se fossi Grillo»), un po’ come al circolino.
NESSUNA TRACCIA
All’ambasciata italiana non sanno dire con esattezza quanti siano i connazionali che decidono di invecchiare sull’isola: quasi nessuno si iscrive all’Aire (l’anagrafe italiani residenti all’estero), quasi nessuno ha problemi, quasi nessuno si sposa o divorzia, quindi la rappresentanza diplomatica non ha traccia delle loro esistenze. Ci sono quelli del centro storico della capitale, quelli che stanno nel più residenziale Vedado, quelli che invece hanno scelto di vivere sulla spiaggia, a Guanabo, a mezz’ora dall’Avana, dove c’è il Mar dei Caraibi, ma anche delle ottime pizzerie italiane.
«QUI PER NON SENTIRE FREDDO»
Quando vado per incontrarli sbaglio orario: mi avevano raccontato delle loro interminabili partite a scopa, ma arrivo troppo presto e stanno tutti ancora facendo il riposino. Stanno tendenzialmente sempre in gruppo e, anche se non vivono vicini, hanno i loro appuntamenti fissi. Per quelli della zona Vedado c’è quello, ogni mattina, alla piscina dell’Hotel Occidental Miramar. Tra gli habitué del posto c’è Antonio, 70 anni, un passato come dirigente di banca. «Perché sono qui? Perché a un certo punto della vita ho deciso che non avrei mai più indossato un cappotto. Sono un meridionale trapiantato di forza al Nord: Dio quanto freddo ho patito!».
LE TRE CATEGORIE DI ITALIANI
Tra tutti quelli che ho incontrato lui è l’unico che mi racconta di andare al cinema (costo: 1 peso cubano, tipo meno di un euro), a teatro (meno di dieci euro). «Fanno anche balletti bellissimi, ci vado sempre solo, a nessuno dei miei amici frega niente della cultura », dice. Sui connazionali suoi coetanei ha una sua teoria: «Ci sono tre categorie di italiani che vengono a Cuba: la prima è di quelli che sperano di fare business dalla mattina alla sera. Illusi. La seconda di quelli che in Italia non riescono a vivere della loro pensione e qui sì. La terza è formata da quelli che vengono alla ricerca del tempo perduto. Questi – se mi consente la pignoleria – si dividono in due sottocategorie: i vecchi rincoglioniti che vengono a cercare l’amore eterno e i vecchi rincoglioniti che vogliono divertirsi. Ecco, io appartengo a quest’ultima».
STORIA DI BRUNO

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