Viaggio tra gli italiani a Cuba che si sono trasferiti a Cuba perché
speravano di fare business, o perché la pensione era troppo bassa, o
perché sognavano la passione dei 20 anni. Gli italiani dell'Avana
Alla Panaderia Francesa i croissant fanno abbastanza schifo, ma come
dice Luigi «se chiudi gli occhi e annusi, un po’ ci puoi credere di
essere a Parigi». Funziona, ma solo se contemporaneamente ti tappi anche
le orecchie. Perché se no sembra di stare in un bar di Brescia: nel
locale cubano che sogna di essere francese si sente parlare soltanto
italiano. Olé. Capelli bianchi, occhiali a specchio, bermuda e scarpa
stringata, i pensionati italiani che vivono all’Avana vecchia si
ritrovano sempre qui la mattina a bere l’espresso, riempire i posaceneri
di cicche, parlare di calcio e di politica («se fossi Renzi», «se fossi
Grillo»), un po’ come al circolino.
NESSUNA TRACCIA
All’ambasciata italiana non sanno dire con esattezza quanti siano i
connazionali che decidono di invecchiare sull’isola: quasi nessuno si
iscrive all’Aire (l’anagrafe italiani residenti all’estero), quasi
nessuno ha problemi, quasi nessuno si sposa o divorzia, quindi la
rappresentanza diplomatica non ha traccia delle loro esistenze. Ci sono
quelli del centro storico della capitale, quelli che stanno nel più
residenziale Vedado, quelli che invece hanno scelto di vivere sulla
spiaggia, a Guanabo, a mezz’ora dall’Avana, dove c’è il Mar dei Caraibi,
ma anche delle ottime pizzerie italiane.
«QUI PER NON SENTIRE FREDDO»
Quando vado per incontrarli sbaglio orario: mi avevano raccontato delle
loro interminabili partite a scopa, ma arrivo troppo presto e stanno
tutti ancora facendo il riposino. Stanno tendenzialmente sempre in
gruppo e, anche se non vivono vicini, hanno i loro appuntamenti fissi.
Per quelli della zona Vedado c’è quello, ogni mattina, alla piscina
dell’Hotel Occidental Miramar. Tra gli habitué del posto c’è Antonio, 70
anni, un passato come dirigente di banca. «Perché sono qui? Perché a un
certo punto della vita ho deciso che non avrei mai più indossato un
cappotto. Sono un meridionale trapiantato di forza al Nord: Dio quanto
freddo ho patito!».
LE TRE CATEGORIE DI ITALIANI
Tra tutti
quelli che ho incontrato lui è l’unico che mi racconta di andare al
cinema (costo: 1 peso cubano, tipo meno di un euro), a teatro (meno di
dieci euro). «Fanno anche balletti bellissimi, ci vado sempre solo, a
nessuno dei miei amici frega niente della cultura », dice. Sui
connazionali suoi coetanei ha una sua teoria: «Ci sono tre categorie di
italiani che vengono a Cuba: la prima è di quelli che sperano di fare
business dalla mattina alla sera. Illusi. La seconda di quelli che in
Italia non riescono a vivere della loro pensione e qui sì. La terza è
formata da quelli che vengono alla ricerca del tempo perduto. Questi –
se mi consente la pignoleria – si dividono in due sottocategorie: i
vecchi rincoglioniti che vengono a cercare l’amore eterno e i vecchi
rincoglioniti che vogliono divertirsi. Ecco, io appartengo a
quest’ultima».
STORIA DI BRUNO
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